La mia personale interpretazione sul perchè non siamo felici.

Durante un noioso e solitario viaggio in treno verso casa, mi sono trovata a ripensare a un articolo letto un paio di settimane fà sul perchè non siamo felici (vi consiglio di leggerlo ). Questo articolo mi ha molto colpito perché individua alcune cause per l’infelicità della mia generazione: le ambizioni sempre più elevate e ambiziose, la convinzione di essere individui speciali e poter ottenere più degli altri, la conseguente voglia di ottenere subito i successi per cui in quanto speciali ci sentiamo predestinati e infine il continuo confronto con le versioni abbellite che gli altri ostentano in rete.

Bingo. Dopo aver letto e riletto questo articolo più volte ho incominciato a guardarmi intorno e a guardarmi allo specchio per verificare se quanto esposto fosse vero. La realtà universitaria che vivo ogni giorno è un ottimo punto di osservazione del fenomeno: pullula di studenti insoddisfatti, che aspettano solo di uscire dall’università perché il mondo riconosca quanto sono speciali e dia loro qualcosa all’altezza del talento che ritengono di avere. Questa visione porta alla ricerca febbrile di cose da fare, e a mio avviso alimenta un fiorente business di master e corsi post laurea e alta formazione: dato che tutti hanno la laurea occorre andare ancora oltre, fare di più, un master, un corso, andare all’estero, una specializzazione, un altro master, cercare di salire un gradino ancora sopra, un gradino che avvicini di più a…. non ne abbiamo idea in realtà. Non ne abbiamo idea perché rincorriamo una gigantesca illusione: come Don Quixotte che combatte coi mulini a vento. Mi vengono in mente due immagini a questo punto: vedo tante persone correre su una salita di ghiaccio scivolosa, cercando di salire più in alto degli altri; e vedo delle mosche, che in una casa ricca di succulenti cibi con cui nutrirsi e calore, sbattono insistentemente contro una finestra perché vogliono a tutti i costi uscire, incuranti di cosa ci sia realmente fuori, perché dal vetro sembra tutto stupendo e il freddo non si sente.

Io penso che per essere felici bisogna essere realisti: la prima causa di infelicità è sovrastimare la realtà. È pensare di riempire una piscina con un bicchiere d’acqua solo perché siamo speciali. Non è sbagliato considerare ogni individuo come speciale, se il termine speciale è inteso come unico, diverso: ciascuno di noi ha diverse attitudini, talenti, interessi, passioni. L’infelicità arriva quando il considerarsi speciale diventa em>considerarsi meglio di chiunque altro in qualcosa: l’ambizione, la voglia di dare il meglio di noi stessi è sacrosanta e ci permette di progredire, ma solo se accompagnata da un bagno di umiltà che ci permetta di comprendere i nostri limiti e decidere se conviverci o superarli, se abbiamo i mezzi per farlo e quanto ci costerà in termini di sacrifici. Solo così si diventa i migliori: cercando di migliorare se stessi.
Non voler crescere e progredire e attendere che il mondo riconosca la nostra superiorità in un bagno di frustrazione e ci premi sono due facce della stessa medaglia. Perché mentre siamo occupati a pensare quanto il mondo sia ingiusto a non darci ciò che ci spetta (poltrone di amministratori delegati e dirigenti per tutti), la fuori c’è qualcuno che la felicità se la sta costruendo, dando il meglio di sé ogni giorno. Mi ricordo che da piccola mi dicevano l’erba voglio non nasce neanche nel giardino del Re.

Non ho la ricetta della felicità (e nemmeno quella della Coca Cola), ma credo di essere abbastanza felice e di aver abbandonato la frustrazione: vivo la mia realtà di ogni giorno con curiosità, attenta alle opportunità, cercando sempre nuove idee, coltivando i miei interessi e le mie passioni, ma con un’occhio vigile su ciò che mi circonda e sui miei limiti. Voglio tante cose, sono ambiziosa, ho tanti sogni, ma non aspetto che la fata turchina li realizzi perché sono speciale. Mi do da fare per realizzarli. Cerco di avere aspettative ambiziose per dare il massimo, ma non esagerate per permettere alla vita di stupirmi.

 Senza nome